L’ultima pubblicazione di Antonio Macías, storico ed ex professore universitario, offre una nuova interpretazione delle origini degli aborigeni canari, suggerendo che questi ultimi derivino da popolazioni sahariane piuttosto che nordafricane. Macías espone la sua tesi nel libro “I Aborigeni Canari. Tremila anni di storia“, presentato mercoledì presso la Casa Condal di San Bartolomé de Tirajana. La sua analisi si basa su evidenze storiche e culturali, sollevando interrogativi sulle narrazioni comunemente accettate riguardo alla colonizzazione delle Isole Canarie.
La tesi di Antonio Macías
Nella sua opera, Antonio Macías sostiene che i primi abitanti delle Canarie provenissero effettivamente dal Sahara, avendo come guide le migrazioni degli uccelli. Questo approccio si fonda su una teoria migratoria consolidata, secondo la quale nessun individuo emigra senza una chiara consapevolezza della meta. Macías sottolinea che i nordafricani non avrebbero potuto conoscere l’arcipelago canario, suggerendo che l’unica popolazione in grado di raggiungerlo sarebbe stata quella sahariana. Egli spiega che queste popolazioni, abituate a vivere in simbiosi con la natura, erano perfettamente in grado di interpretare i segnali del mondo animale, inclusi i percorsi migratori degli uccelli, così come si osservava nelle storie di colonizzazione delle isole del Pacifico.
Macías sottolinea che le condizioni ambientali che regnavano nel Sahara durante quei periodi mettevano pressione sulla popolazione locale, spingendola a cercare nuove terre abitabili. La desertificazione, quindi, diventa una motivazione cruciale per la loro migrazione verso le Canarie. L’autore avanza la tesi che gli immigrati sahariani non portarono con sé elementi tipici della cultura nordafricana, ma piuttosto una tradizione culturale e una conoscenza ancestrale che si allontanava dalle pratiche agricole sviluppate nel nord Africa da migliaia di anni.
Le trasformazioni culturali e gli aspetti di vita quotidiana
Nel libro, Macías non si limita a far luce sulle origini geografiche degli aborigeni, ma offre anche una riflessione sulle loro condizioni di vita nel contesto delle Canarie. L’autore propone un racconto che si concentra più sulla vita quotidiana e sul cambiamento culturale, piuttosto che sull’archeologia. Tra le sue affermazioni, Macías ribadisce che il fattore principale non è tanto quando sia avvenuta la migrazione, quanto piuttosto come un popolo possa prosperare e adattarsi a un ambiente isolato e talvolta ostile.
La narrazione di Macías evidenzia come gli aborigeni canari abbiano sviluppato una cultura complessa, basata su relazioni pacifiche e cooperative piuttosto che su conflitti interni. Questa visione contrasta con quella di altri popoli che, sotto pressione, sono stati costretti a competitore violentemente per risorse. I canari, al contrario, sono descritti come un esempio di come le società possano raggiungere una stabilità duratura e vivere in armonia con la propria terra.
L’impatto del libro e la prossima pubblicazione
Il libro di Macías, edito da Artebirgo, sarà disponibile nelle librerie a partire dalla prossima settimana. L’opera è anticipata da un’animata presentazione alla quale ha partecipato anche il sindaco di San Bartolomé de Tirajana, Marco Aurelio Pérez, e l’assessore alla cultura, Elena Álamo. Macías ha scelto questo comune non solo per celebrare l’importanza della sua ricerca, ma anche per il suo legame personale con il territorio, avendo trascorso qui la sua infanzia.
Con questo lavoro, Antonio Macías cerca di riscoprire e valorizzare una parte della storia canaria che, fino ad oggi, è stata trascurata o malinterpretata. La sua esplorazione delle origini sahariane degli aborigeni si propone quindi di stimolare un dibattito più ampio sulla formazione dell’identità e della cultura delle Isole Canarie nel corso dei millenni, ponendo interrogativi significativi anche sull’interpretazione delle tradizioni locali e sull’importanza della memoria storica.