Isole Canarie

Assolto un uomo accusato di abuso sessuale su una minorenne: la sentenza della Corte di Las Palmas

Il tribunale di Las Palmas assolve Juan José Saavedra dall’accusa di abuso sessuale su una minorenne, evidenziando la mancanza di prove sufficienti e aprendo un dibattito sulla giustizia nei casi di abuso infantile.

Un caso di abuso sessuale ha recentemente catturato l’attenzione della comunità locale di Tahíche, un comune spagnolo situato nell’isola di Lanzarote. La Sezione Prima della Audiencia Provincial de Las Palmas ha dichiarato l’imputato, Juan José Saavedra, non colpevole dei crimini di cui era accusato riguardo ad un presunto attacco sessuale su una ragazza di otto anni. Questa sentenza potrebbe non essere definitiva, in quanto esiste la possibilità di presentare un ricorso di appello. Di seguito vengono esaminati i dettagli salienti del caso, le evidenze presentate in aula e le considerazioni della corte.

Assolto un uomo accusato di abuso sessuale su una minorenne: la sentenza della Corte di Las Palmas

I fatti oggetto del processo

I presunti abusi si sarebbero verificati tra maggio e agosto del 2017, quando Saavedra si trovava ospite nel garage di un amico a Tahíche. Durante le notti di permanenza, nella stessa stanza si trovava anche la figlia dell’amico, una minorenne di otto anni, insieme a suo fratello maggiore e ai due fratellastri. La accusa sosteneva che, in un certo momento della notte, Saavedra si sarebbe avvicinato al materasso dove dormiva la bambina, tentando di abusare di lei. Tuttavia, il giudice, nella motivazione della sentenza, ha affermato che le prove presentate non fossero sufficienti a superare la presunzione di innocenza dell’accusato.

Il tribunale ha sottolineato che non c’è prova di carico sufficiente contro Saavedra per giustificare una condanna. La corte ha stabilito che non è stato dimostrato che l’anziano si sia avvicinato alla minore, né che abbia compiuto atti sessuali nei suoi confronti, come affermato dell’accusa. La mancanza di prove fisiche rilevanti e testimonianze concrete ha giocato un ruolo cruciale nella decisione finale del tribunale.

La testimonianza della vittima e le prove presentate

La testimonianza della giovane vittima, che all’epoca dei fatti aveva solo 14 anni, è stata centrale nel processo. Nonostante la testimonianza fosse stata descritta come ferma e coerente, il giudice ha ritenuto che in assenza di altre prove a sostegno, non fosse sufficiente per avere un peso decisivo dal punto di vista probatorio.

La corte ha notato come la minore abbia sistematicamente contestualizzato i presunti abusi, senza alcun segnale di coercizione nell’aver raccontato la sua storia. Inoltre, ha evidenziato che il tempo passato tra l’accaduto e la denuncia non inficia la credibilità della vittima. Tuttavia, il giudice ha dichiarato che esistono una serie di circostanze esterne che impediscono di conferire al racconto della giovane la necessaria sufficienza e conclusività; pertanto, il suo racconto non ha trovato la necessaria corroborazione.

I testimoni chiamati in causa, tra cui i genitori della minorenne e la sua insegnante, sono stati ritenuti credibili, ma le loro dichiarazioni hanno semplicemente riportato il racconto della ragazza, senza aggiungere elementi decisivi al caso.

Le valutazioni psicologiche e le implicazioni legali

Il rapporto psicologico forense ha affermato che non si sono trovati indizi di simulazione da parte della minore. Sono state comunicate importanti conseguenze psicologiche ed emotive sulla vittima, ma il documento non chiarisce con certezza se tali conseguenze fossero direttamente correlate all’abuso denunciato. La mancanza di riferimenti a esperienze di abusi sessuali precedenti subiti dalla stessa ragazza ha sollevato ulteriori interrogativi sulla specificità delle sue ferite psicologiche.

Il tribunale ha affermato che il danno inflitto all’infanzia maltrattata ha effetti negativi che si prolungano nel tempo, pur riconoscendo che il diritto alla presunzione di innocenza non prevede sfumature. Questo ha permesso all’imputato di non essere ritenuto colpevole nonostante le accuse gravi e il forte impatto emotivo del caso.

Il pubblico ministero aveva richiesto per Saavedra una condanna a dodici anni di carcere, accompagnata da un ordine di allontanamento di 500 metri dalla minore per venti anni e l’inibizione dall’assumere incarichi di lavoro a contatto con i minori per diciassette anni. In aggiunta, si chiedeva un risarcimento di 6.000 euro a favore della ragazza.

La sentenza ha aperto un dibattito sulla gestione dei casi di abuso minorile e sulle difficoltà nel provare legalmente tali accuse, sollevando interrogativi sulla protezione delle vittime e sull’importanza di garantire giustizia in situazioni tanto delicate.